Stare dalla parte dei diritti umani
Una legge liberticida che voleva “riaprire” i manicomi
Durante l’incontro organizzato a Roma sulla salute mentale dal titolo: “Cosa non serve oggi alla salute mentale”, a cui hanno partecipato numerose personalità pubbliche e istituzionali, il senatore PD Ignazio Marino ha ribadito un concetto più volte espresso sul tema della salute mentale: “Non c’è alcuna necessità di riscrivere la legge 180”.
Dette dal presidente della Commissione di inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale, quelle parole sono suonate come una sonora bocciatura al testo fortemente voluto dal rappresentante dei cosiddetti “esperti” nel campo, il vicepresidente della commissione Affari sociali della Camera, Carlo Ciccioli, che l’ha presentato tra molte polemiche al convegno: “Andare oltre la legge 180 nella direzione dei pazienti e delle loro famiglie”.
Il testo dell‘onorevole Ciccioli è stato contestato a più riprese in quanto faceva riferimento all’istituzione di un trattamento sanitario obbligatorio di sei mesi rinnovabili da poter effettuare anche presso le cliniche private (oggi il TSO dura 7 giorni, rinnovabili, ed è appannaggio esclusivo delle strutture pubbliche). Una proposta che ha già ricevuto il Niet dello stesso Ministro della Salute, Ferruccio Fazio. Il ministro ha ribadito che: “Allo stato attuale il governo non ravvede la necessità di proporre l'istituzione del trattamento sanitario prolungato,” scatenando le ire di alcune associazioni e dello stesso Ciccioli.
Anche se la legge 180 dovrebbe essere considerata un notevole progresso perché va nella direzione della libertà di scelta terapeutica, sancita dall'articolo 32 della Costituzione della Repubblica italiana, rimane pur sempre una privazione dei diritti umani e costituzionali. Con la legge attuale una persona può essere ricoverata contro la sua volontà e dichiarata incapace, anche se temporaneamente. Benché questo comporti la privazione della libertà personale, in contrasto con l’articolo 13 della Costituzione della Repubblica italiana che ne prevede l'inviolabilità, può essere disposto con un provvedimento amministrativo che viene sì verificato dal giudice tutelare (purtroppo spesso in maniera asettica e impersonale) ma solo dopo che la vittima è già stata aggredita con psicofarmaci, contenzione fisica, reclusione e altri trattamenti forzati dai quali potrebbe non riprendersi mai.
Quindi forse più che ad un rafforzamento di determinate misure, che più terapeutiche sembrano carcerarie, si dovrebbero promuovere e sostenere quelle realtà, seppur isolate, che tendono al rispetto della dignità umana permettendo una riabilitazione della persona e il ritorno alla vita lavorativa e sociale, senza dover dipendere costantemente da farmaci o terapie.
Si deve trovare una soluzione. Esistono metodi umani e non invasivi per aiutare le persone affette da disturbi, sopraffatte da problemi o sconvolte emotivamente. Come ha scritto lo psichiatra francese Alain Bottero: “Dobbiamo anche riflettere più seriamente sugli altri mezzi per ‘tranquillizzare’, meno tossici, che abbiamo a disposizione: riposo, calma, piccole dosi di Fenotiazine, ‘sedativi’, ‘tranquillanti minori’, un dialogo amichevole, la risoluzione dei conflitti, attività di rilassamento, stare lontano dagli stress: e a volte la medicalizzazione stessa è una delle prime cause di stress.”
Ci auguriamo che il desiderio di monopolio e controllo sul soggetto della salute mentale non prevalga e le associazioni che lottano per una maggiore dignità delle persone con disagi psichici trovino lo spunto da questo “scampato pericolo” per rinnovare l’impegno e l’entusiasmo che avevano portato alla legge 180, al fine di migliorarla ulteriormente e realizzare un sistema dove le violazioni dei diritti umani siano solo un cattivo ricordo. Sarà una strada lunga ma vale la pena percorrerla.
Silvio De Fanti