Bambini allontanati dai loro affetti per una storia iniziata male e gestita peggio

Bambino che piange

Il sig. M.M, contatta il nostro comitato (CCDU Comitato dei Cittadini per i Diritti umani) per segnalare l’assurda vicenda che sta vivendo da circa 3 anni, quando la moglie decide di abbandonare la famiglia e di andarsene di casa. Dapprima si è portata via i 3 figli per 3 /4 giorni, ma subito dopo li abbandonava alla madre di lui dicendo che non poteva tenerli.
Padre e nonna si fanno dunque carico dei bambini. Il più grande, 7 anni all’epoca, molto sofferente per la mancanza improvvisa della madre, ha avuto un blocco intestinale, prontamente risolto in pronto soccorso.

Vista la causa del malore del bimbo, dal Pronto Soccorso chiamano la madre per fare visita al bambino, ma lei non si fa viva, così gli operatori sanitari avvisano i servizi sociali, che contattano il papà per un colloquio. Il padre dei bimbi spiega come la situazione sia sotto controllo dato che ha come supporto la propria madre, e che quindi non ha difficoltà a badare ai propri figli, ma i servizi sociali inviano una relazione in cui tra l’altro si sostiene che la casa “si presentava disordinata e in precarie condizioni igienico-sanitarie, e sul tavolo era poggiato un bicchiere contenente ‘presumibilmente’ sostanze alcoliche”. Sulla base di queste generiche insinuazioni, il sindaco dispone l’allontanamento urgente dei minori in struttura protetta; decisione accolta poi dal tribunale dei minori che conferma: i bambini vengono strappati ai loro genitori.

Il tribunale per i minori di Milano dispone alcuni accertamenti per determinare l’eventuale uso e abuso di stupefacenti o alcol e determinare l’idoneità dei genitori. MM risulta negativo ai test e psicologicamente idoneo, mentre la mamma non solo risulta positiva a cocaina e cannabinoidi e inidonea. 

Dopo circa un anno di incontri protetti ingiustificati, la relazione del Centro per la Famiglia delle Valli, su richiesta dei servizi sociali, conclude dicendo che non emergono elementi altamente pregiudizievoli che possono protrarre il periodo di permanenza dei minori in comunità, ed auspica un reinserimento a casa dei bambini impostando un intervento educativo domiciliare con monitoraggio delle dinamiche relazionali genitori/figli. Come testimoniato sia dal padre che dalla nonna, è da un anno che vengono negati gli incontri con la medesima, dalla nuova psicologa, se non per qualche rarissima eccezione di pochi minuti.

Il tribunale dei minori di Milano, nonostante questa relazione sensata e fattuale, prolunga la permanenza in comunità, dispone la continuazione dei monitoraggi; con ricorso del 19 marzo 2020, la madre domandava la separazione dal sig. M., spostando la competenza al tribunale ordinario, che ratificava quanto già deciso dal Tribunale per i Minorenni.

Lo scorso giugno, un decreto del tribunale di Varese mantenne il monitoraggio come già in essere, richiedendo però un nuovo calendario delle frequentazioni con i minori, che preveda un progressivo ampliamento delle visite ed una loro graduale liberalizzazione ma, a detta del padre, i nuovi assistenti sociali non hanno mai attuato queste disposizioni.

Le liberalizzazioni ci sono state ma in maniera inefficace. Ci sono voluti due anni per arrivare a tre ore al giorno di incontro libero settimanale (tra cui una parte in Comunità per i compiti), e una buona parte impiegata per somministrare il pranzo (sempre a carico del padre). Le continue giustificazioni sul mancato ampliamento delle visite come suggerito dal Tribunale vertevano sul fatto che i bambini apparivano troppo scossi emotivamente agli psicologi della Comunità. Circostanza che non abbiamo mai potuto riscontrare essendo anche osteggiato l'ingresso in Comunità di uno psicologo di parte. Inoltre, sono sempre stati ostacolati gli incontri con la nonna dei minori (madre del padre) ritenuto di nessuna importanza.

Nel frattempo, mentre la madre si dimostra accondiscendente con i servizi sociali, il padre esprime critiche e proteste nei confronti di alcune manchevolezze, in particolare riguardo a salute dei bambini (uno di loro necessitava di cure dentistiche che non venivano eseguite) e per ottenere un adeguamento degli orari di visita con le sue esigenze lavorative, guadagnandosi così la fama di piantagrane. I servizi sociali tendono ora a ingigantire qualsiasi lieve pretesto, per esempio criticando il padre per aver portato i figli a casa “senza il loro permesso” e per avere fallito due o tre volte nella mission impossibile che gli era stata assegnata (pranzo e compiti in un’ora, un’ora e mezza – nonostante le richieste di prolungare il tempo a disposizione o di cambiare orari). Queste quisquilie sono il pretesto per una relazione al tribunale da parte della psicologa della Tutela Minori di Luino   dove chiede – e ottiene - di ribaltare la decisione precedente e tornare agli incontri protetti.

Da quando sono stati affidati alla madre, che convive con il suo compagno, i ragazzi hanno cambiato il loro atteggiamento nei confronti del padre: prima adoravano il padre e non vedevano l’ora di passare del tempo con lui, ora non vogliono più vederlo, dicendo che avevano paura perché li picchiava. Anche le assistenti sociali hanno notato questo repentino stravolgimento dei sentimenti, i racconti non corrispondevano a verità: in libera comunicazione i bimbi ammettevano che tutti i giochi, vestiari e oggetti regalatogli dal padre e dalla nonna paterna erano stati fatti sparire. Il padre riferisce che i ragazzi, per vedere il padre, necessitano ora del permesso del compagno della madre, e ci sono divergenze non risolte perfino della determinazione delle scelte scolastiche.

Purtroppo, ancora una volta, si evidenziano i limiti di un sistema in cui gli operatori sono indottrinati a interpretare ogni aspetto umano come ‘malattia’, e giudici sono pronti a prendere per oro colato le loro relazioni che in realtà, non essendo fondate su test di laboratorio oggettivi e ripetibili, sono prive di valore scientifico.

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