Bimbo abbandonato per otto anni in una "famiglia" di 20 bambini

Bimbo sottratto

La vicenda appare incomprensibile: fuori famiglia dal lontano 2010; da allora incontra la mamma per un’ora ogni due settimane; e nessuno gli spiega perché vive lì e non con la sua mamma. 

Milano. La storia di questo bambino inizia nel lontano 2010 quando una mamma cinese affida serenamente suo figlio agli assistenti sociali per un breve periodo per problemi di lavoro: una pratica molto comune in Cina. Dopo alcuni mesi, torna a riprendere il bambino, ma scopre che ormai è stato affidato ad una comunità. È sconvolta, il bambino non potrà tornare con lei.

Inizia una battaglia legale. Come risulta dalla documentazione depositata in Tribunale, i Servizi Sociali negli anni 2011 e 2012 redigono due relazioni che riconoscono che è una brava madre e che non ha mai abbandonato il figlio: scrivono che il bambino dovrebbe tornare con lei.

Sono ormai passati alcuni anni in cui il bimbo vede la madre in ambito protetto per un’ora ogni quindici giorni. Ormai il bambino è stato affidato a un’altra famiglia, e nel 2013 uno psicologo sentenzia che il bambino non potrà tornare dalla mamma perché sembra molto più piccolo rispetto alla sua età e il suo gioco preferito è di nascondersi e di farsi ritrovare. Quindi, di fatto, non torna dalla mamma perché gli piace giocare a nascondino!

Il bambino continua così, per anni, a vedere la mamma in visite di un’ora ogni 15 giorni in incontri protetti e sorvegliati senza la possibilità di alcuna intimità, finché circa dieci mesi fa la mamma si arrabbia con un’operatrice troppo invadente, e le visite vengono addirittura sospese. Da allora non vedrà più la sua mamma.

Nel corso del 2017 la mamma si rivolge all’avvocato Francesco Miraglia che presenta un’istanza al Tribunale. Dopo diversi mesi, il Giudice nomina un Consulente d’Ufficio per vederci chiaro.

Nel corso della consulenza, la professionista incontra il bimbo (ormai quasi adolescente). E alcuni giorni fa, presenta al giudice un documento da cui emergono particolari inquietanti. Il ragazzo ha riferito di “vivere nella famiglia affidataria insieme ad altri 20 bambini – 9 maschi e 11 femmine – e di avere altri 7 zii e 7 zie con i rispettivi figli […] ed ogni famiglia ha almeno altri 10 figli tra propri e affidati e/o adottati […] e di non capire il perché la sua mamma non va più a trovarlo, in quanto non gli è stato spiegato nulla, né è stato spiegato il perché vivesse lì […] e non con la madre.” Inoltre, ha affermato di “non ricordare nulla di spiacevole riguardo alla madre negli incontri protetti e che solo nell’ultimo episodio si è arrabbiata perché l’educatrice non voleva che si dicessero cose in privato, […] e che avrebbe voluto uscire con la madre e non stare in una stanza, e che quando gli hanno parlato della mamma si è commosso.”

Inoltre, da quanto riferito dal ragazzo alla consulente del Tribunale, pare che egli sia collocato in un’associazione nella quale ci sarebbe un insieme di famiglie tra loro parenti e consanguinei (anche l’affidataria del minore sarebbe parente diretta della responsabile dell’associazione). Risulterebbe inoltre che i genitori affidatari abbiano più di 60 anni e che tra i 20 bambini affidati loro ci sia anche un bimbo di un anno.

In seguito a quanto emerso nel corso della Consulenza d’Ufficio, l’avvocato della mamma, Francesco Miraglia, ha presentato un’istanza urgente alla Procura per i Minorenni di Milano e ha informato immediatamente l’Assessore alle Politiche Sociali dott. Pierfrancesco Majorino e il Garante per l’Infanzia dott.ssa Anna Maria Caruso, per chiedere chiarimenti. Ora si attende la risposta delle autorità competenti.

Secondo l’avv.to Miraglia:

“In questo caso si dimostra come la giustizia minorile in Italia non sia a misura di bambino.

Com’è possibile che un bambino possa rimanere nel limbo di un affidamento dal 2010?

Ancora più incredibile è che un minore possa incontrare sua madre in ambiente protetto da più di 7 anni per un’ora ogni 15 giorni?

Chiedo all’Assessore, al Garante e alla Procura di fare luce sulla vicenda.”

“Ci chiediamo perché il professionista che ha valutato il collocamento di questo bambino nel lontano 2013 non abbia rilevato le criticità di questo affidamento.”

Incalza Paolo Roat Responsabile Tutela Minori del Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani (CCDU) Onlus. Che continua:

“Dalla sua relazione si evince che, secondo lui, togliere il bambino alla famiglia affidataria e riaffidarlo alla mamma avrebbe potuto destabilizzarlo solo perché sembrava molto più piccolo rispetto alla sua età e il suo gioco preferito era di nascondersi e di farsi ritrovare.

Quando certe teorie psichiatriche, figlie di una disciplina priva di fondamenti scientifici, entrano nella giustizia minorile possono causare dei grossi danni come appare essere il caso di questo bambino.

Ci auguriamo che le autorità competenti si muovano velocemente per chiarire una vicenda che appare inquietante.”
 

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