Idonea al lavoro nonostante la psichiatria

Immagine che esprime libertà

Brescia - Per liberarsi dal servizio di salute mentale ha dovuto ricorrere a legale e consulente. Oggi la buona notizia: è idonea al lavoro.

“Invece di aiutarmi mi hanno fatto due trattamenti sanitari e obbligatori e mi hanno trattata con psicofarmaci.

È stata molto dura ma ora ne sono uscita e posso continuare a lavorare. Vorrei solo che ora il servizio di psichiatria territoriale mi lasciasse stare e mi permettesse di vivere in pace la mia vita.

Continuerò a combattere e denunciare quanto ho subito in psichiatria.

La gente deve sapere cosa si rischia quando si entra in un reparto di psichiatria: improvvisamente non hai più diritti e vieni trattato come un paria in balia dei capricci e delle prescrizioni dello psichiatra di turno.”

Queste le parole di una donna di Brescia dopo la notizia del suo reintegro al lavoro. Alcuni anni fa in un momento triste della sua vita era finita in psichiatria. Improvvisamente si era ritrovata in un girone infernale, rischiava di perdere il lavoro e ha subito ben due TSO. Era destinata a una vita di assistenzialismo come spesso succede a chi si affida alle mani dei Centri di Salute Mentale. Non si è data per vinta e con l’aiuto della sua famiglia si è rivolta al Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani (CCDU) e all’avvocato Francesco Miraglia del foro di Roma. Da oggi potrà continuare a lavorare e tornare a una vita normale senza psicofarmaci.

Infatti il Direttore Generale ASST degli Spedali Civili di Brescia ha dichiarato ufficialmente la sua “Idoneità alla mansione specifica”. Potrà pertanto mantenere il suo posto di lavoro.

“Spesso il destino di chi finisce in psichiatria è tragico. Il recupero e l’integrazione sociale sono poche eccezioni, come nel caso dell’autogestito di Imola del Dottor Giorgio Antonucci,  la storia della cooperativa "Noncello" di Pordenone (raccontata nel film –Si può fare– con Claudio Bisio) e poche altre esperienze positive.”  

Denuncia Silvio De Fanti, vicepresidente del CCDU, che prosegue:

“Nella maggioranza dei casi non c’è un reale tentativo di superare il disagio: le persone con disagi mentali finiscono con il perdere i diritti garantiti agli altri cittadini.

Sono costrette a prendere farmaci contro la loro volontà sotto la minaccia di un trattamento sanitario obbligatorio: spesso ricevono il famigerato depot, una puntura di psicofarmaci a lento rilascio della durata di un mese, ma le ultime terapie di depot durano persino tre mesi.

Le persone solitamente si lasciano andare.

Accettano una vita fatta di terapia di mantenimento, ricoveri coatti periodici, collocamento in comunità: senza nessun progetto di recupero e reintegrazione. Molte alla fine si suicidano o muoiono per le complicanze dei farmaci.

Il caso della signora, che si era rivolta al CCDU alcuni anni fa, è purtroppo un’eccezione.

Grazie all’aiuto della famiglia e di professionisti privati competenti è riuscita a riprendersi, non certo grazie alle strutture psichiatriche che si limitano a un lavoro di semplice contenimento e controllo sociale.

Come ha dichiarato Giorgio Antonucci (uno dei pochi professionisti ancora in vita ad aver lavorato con Basaglia) nel convegno del 9 aprile 2017 all'Auditorium al Duomo dove era allestita la mostra -Psichiatria: controllo sociale e violazione dei diritti umani-:

«Non esistono i problemi psichiatrici, esistono i problemi umani e i problemi umani si risolvono col dialogo, con l'ascolto, non con la coercizione e la repressione come ancora si fa in psichiatria.»

Finché ci sarà coartazione in psichiatria ci saranno violazioni dei diritti umani. La  riforma della legge 180 è sempre più necessaria, non solo dopo i recenti casi di persone decedute durante un TSO, ma anche per le migliaia di persone che vivono una vita da reietti, senza alcuna speranza di recupero e di una vita felice e dignitosa.”

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