Studio: cura coatta aumenta drasticamente il rischio di suicidio post-dimissione
Rischio di suicidio 56 volte superiore dopo la cura psichiatrica involontaria: i dati shock del Karolinska Institute
Un nuovo e imponente studio pubblicato su The Lancet Regional Health – Europe dal prestigioso Karolinska Institutet di Stoccolma, in Svezia, ha messo in luce una correlazione allarmante tra il ricovero psichiatrico involontario e il rischio di suicidio dopo la dimissione.
Il prestigio del Karolinska e la "casistica"
Il Karolinska Institutet non è una semplice università medica; è una delle più autorevoli istituzioni di educazione e ricerca medica al mondo. La sua importanza è sottolineata dal fatto che un comitato dell'Istituto è responsabile della selezione annuale dei vincitori del Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina. A conferire ulteriore autorevolezza ai risultati è la rivista che li ha ospitati: The Lancet. Riconosciuta a livello globale, The Lancet è una delle più autorevoli e rispettate riviste nel campo della medicina, sinonimo di rigore scientifico.
Per questa ricerca, i dati analizzati sono stati estremamente ampi (la "casistica" richiesta dall'utente). I ricercatori hanno condotto uno studio di coorte seguendo oltre 72.000 persone che sono state ricoverate in psichiatria contro la loro volontà in Svezia tra il 2010 e il 2020. Un campione di tali dimensioni conferisce al risultato una robustezza statistica notevole.
Studio di Coorte: la metodologia
Un "cohort study" (o studio di coorte) è una metodologia di ricerca epidemiologica di tipo longitudinale che consiste nel seguire un ampio gruppo di persone nel tempo (in questo caso, per una media di oltre quattro anni) per analizzare l'incidenza di un determinato esito (il suicidio) in relazione a un'esposizione specifica (il trattamento involontario).
Rischio aumentato e l'inutilità della coercizione
I risultati dello studio hanno mostrato che il rischio di suicidio in questi pazienti era drammaticamente elevato: 56 volte superiore rispetto alla popolazione generale. Il rischio più alto si registra nel primo mese dopo la dimissioni, ma rimane elevato per diversi anni. Sebbene sia statisticamente atteso che i pazienti sottoposti a cura coatta siano già i più gravemente malati, il dato è un potente promemoria che la coercizione, di per sé, non è una cura e può funzionare come un fattore di rischio. Lo studio evidenzia, infatti, che il trattamento involontario è un "marker di rischio per il suicidio".
La scienza va in una direzione, la politica in un’altra
Questo dato solleva una riflessione fondamentale, spesso considerata ovvia, nel campo della salute mentale: è impossibile ottenere un'alleanza terapeutica genuina con la forza. La relazione di fiducia e la collaborazione tra curante e paziente sono elementi imprescindibili per il successo a lungo termine di qualsiasi percorso terapeutico; quando queste vengono meno per l'imposizione di un trattamento, la cura stessa può risultare controproducente.
Il paradosso si accentua nel contesto politico europeo: proprio mentre la scienza, attraverso studi di questa portata, sottolinea i rischi letali del trattamento coatto, il Consiglio d'Europa si appresta a votare il protocollo aggiuntivo all'Accordo di Oviedo. Se approvato, questo protocollo estenderebbe nei Paesi membri la possibilità di trattamenti psichiatrici coatti basati non solo sulla necessità immediata ma anche sulla presunta 'incapacità' del paziente di acconsentire, in netto contrasto con l'evidenza scientifica che lega la coercizione a un aumento del rischio di morte.
Lo studio pubblicato su Lancet disponibile qui: https://www.thelancet.com/journals/lanepe/article/PIIS2666-7762(25)00296-0/fulltext