Daria, tolta alla famiglia e messa in una comunità alloggio

Bambina

In nome del popolo italiano

Anche Daria ha sei anni, ma diversamente da me li ha compiuti nell'anno 2000. Daria F. ha una mamma bellissima, capelli e occhi neri, il viso sempre abbronzato, e quelle mani morbide che la sanno carezzare con così tanta dolcezza, al punto che certe volte si sente tanto in colpa perché proprio non le riesce di rispondere a tutte le domande che le vengono poste, e non ha ancora imparato bene a sorridere, sarà anche per la tristezza di vederli sempre cupi lei e papà, non si vive bene nell'anno 2000 senza avere un lavoro fisso, e forse papà che è ancora così giovane avrebbe bisogno anche lui di andare ogni tanto in vacanza, o di non avere sempre paura di cosa accadrà domani, ma i soldi non bastano mai, lo dicono sempre mentre stanno a tavola e certe volte Daria non può telefonare ai nonni perché la Telecom ha sospeso l'abbonamento. Il Capo del Governo dice che l'economia va benissimo, e questo Daria proprio non lo capisce, non riesce a capire perché allora certe volte suo padre resta in casa per intere settimane, perché di lavoro ce ne è poco anche se papà sa fare di tutto, dall'elettricista, al muratore, persino il falegname e l'idraulico.

L'Europa delle banche ormai è cosa fatta e infatti tra pochi mesi l'Euro sarà la nuova moneta, mentre invece l'Europa dei diritti è ancora da progettare ma sembra che nessuno se ne dolga: lo dicono anche papà a mamma che questo non cambierà le cose, perché lo stipendio di un operaio precario del nuovo millennio rimarrà sempre lo stesso, sempre troppo basso per consentire loro di sorridere per un minuto in più o di regalare un fratellino.

Crollato il muro e fatta l'Europa, a distanza di più di trent'anni anche Daria sta per incontrare un poliziotto, anzi una poliziotta, con gli occhi scuri come i suoi ed uno sguardo deciso sul viso dolce da bambina, che cerca di consolarla e le spiega che deve venire via con lei, che si tratterà di poco, che un giudice importante ha deciso di darle una vita diversa e migliore: <<Cos'è una vita migliore?>> domanda Daria e la poliziotta non sa rispondere mentre un poliziotto maschio consegna a mamma e papà un foglio che li fa piangere e poi, mentre la poliziotta le parla dolcemente ma la tiene in braccio con forza, senza consentirle di scegliere e senza più ascoltarla, Daria abbandona forse per sempre la sua cameretta senza vedere per l'ultima volta i suoi giochi.

Quando poi il poliziotto maschio dà una spinta forte per cui papà finisce contro il muro e cade in terra, allora Daria comincia a gridare e a divincolarsi, ma la presa della poliziotta si fa sempre più forte e decisa, e allora chiede a papà perché la stanno arrestando, lo diceva anche la televisione che i bambini sono troppo piccoli e non si possono mai arrestare, ma a quel punto la poliziotta comincia a correre giù per le scale mentre adesso sono diventati tre agenti che tengono fermi mamma che piange disperata mentre papà cerca umilmente di farli spostare, e prigioniera di quella presa invincibile Daria riconosce intorno a sé gli sguardi ed i visi di tutti i vicini di casa che nel frattempo si sono radunati nel cortile, e inseguono gli agenti vestiti di blu, poi la poliziotta che piange anche lei la fa salire in macchina, e quel rombo del motore che si fa sempre più aggressivo, quando lo sportello si chiude e attacca la sirena, e Daria capisce che sta accadendo, che è già accaduto qualcosa, e che si tratta di qualcosa di irreparabile, e soltanto in quel momento comincia a gridare forte <<Mammaaa....mammaaaa...>> ma ormai è tardi, l'avesse fatto prima forse tutto si poteva fermare. Nessuno sente la sua voce, soffocata dal verso della sirena e del motore, che grida disperatamente, e si capisce ormai che non c'è più tempo per nulla, tutto il tempo che c'era è già finito così, all'improvviso, ormai ne è sicura, non ha più dubbi quando la volante azzurra parte via sgommando tra la folla indignata che grida, gesticola e sputa anche contro i vetri.

Piano piano la casa diventa sempre più piccola fino a scomparire nel lunotto posteriore, e d'improvviso il prato sterminato dell'infanzia rivela il proprio inganno, scompare anch'esso insieme alla casa di mamma e papà, mentre quella sirena assordante che fa venire voglia di morire continua a pretendere la strada libera e fa scansare tutte le macchine, esattamente come il giudice ha ordinato questa mattina, per dare a Daria una vita migliore.

E Daria finalmente piange, a dirotto, lacrime adulte. In nome del popolo italiano.

La cosa brutta

A Daria non riesce proprio di giocare con gli altri bambini, lei preferisce restarsene seduta sulla panchina di marmo a contare quanti sono i sassolini di colore diverso dal bianco, in quella ghiaia che si stende tutta intorno come uno sterminato continente vuoto.

Come vuoto è anche il suo cuore, perché pure l'ultima volta che la mamma è venuta a trovarla papà non c'era, papà non c'è mai e lei non ci crede proprio che sono le suore che non lo fanno entrare, lei non ci crede più che in realtà papà aspetta di fuori e si sforza tanto con il pensiero affinché lei possa sentire che è a pochi metro oltre quel muro invalicabile, che la pensa e che le vuole bene: Daria non riesce a sentire il pensiero di papà, non crede che il pensiero e l'amore si possano sentire, lei è convinta che l'amore si debba toccare e vedere, che stia dentro le carezze, dentro i sorrisi, dentro i regali, nel suono rassicurante di quella voce amorosa che da mesi ormai non riesce neanche a ricordare, Daria è sicura di avere finalmente capito la verità e la verità è che papà non la vuole più con sé, altrimenti verrebbe a prenderla subito e la porterebbe al mare a vedere le barche come faceva l'estate scorsa.

Così se ne sta lì ferma e seduta a contare i sassolini di colore diverso dal bianco, che sembrano pochi in mezzo a tutta quella ghiaia eppure alle volte ci vuole un pomeriggio intero per sapere quanti sono, e poi non è mai sicura di averli contati tutti. La Suora dalle scarpe bianche deve essere la più importante in quella prigione dei bambini, perché tutte le altre hanno invece le scarpe aperte come quelle che si vedono ai piedi di San Francesco dei Santini che si prendono in Chiesa, così quando le vede comparire sotto i propri occhi capisce che come sempre le darà un ordine al quale come sempre dovrà ubbidire senza discutere, perché la Suora dalle scarpe bianche le ha detto fin dal primo giorno che lei è l'unica che può parlare al giudice per farla tornare a casa, quando sarà guarita, perché lei è malata, Daria non sa di quale malattia ma deve trattarsi di una cosa grave se papà non la vuole più con sé e neanche la viene a trovare, e se mamma piange, piange sempre, da quando arriva a quando se ne deve andare.

<<Tesoro...>> dice quel fantasma silenzioso dallo sguardo severo, e Daria alza gli occhietti abbandonando la conta <<.... vieni con me... dobbiamo fare una visita>>

La bimba si alza e cammina dietro il manto bianco di Suor Maria, contando uno per uno tutti i passi di quelle strane scarpe che scricchiolano sempre, persino sull'erba, poi il sentiero si trasforma in gradini, sono uno, due e tre scalette basse che lei saprebbe scendere con un solo balzo, se soltanto in questo posto fosse permesso saltare e correre, dopo le quali riconosce il pavimento di marmo grigio dell'androne, quello che girando a destra si va nel refettorio e a sinistra, invece, alle camerate dove quando finalmente si spengono le luci Daria può piangere con la faccia dentro al cuscino, perché in quel modo nessun può sentirla e quindi nessuno la sgriderà. Poi d'improvviso, seguendo quel bianco scricchiolio, le forme del pavimento cambiano, i lastroni larghi di marmo grigio si trasformano in mattonelle quadrate color panna, deve essere un percorso nuovo quello che stanno facendo, e infatti a un certo punto Daria si ferma insieme alle scarpe di Suor Maria, che spinge una porta socchiusa in fonda alla quale, lo vede alzando gli occhi, c'é un uomo con un camice come quello dei dottori, è un dottore, forse mi curerà quest'oggi, immagina la bimba, e stasera stessa potrei essere guarita, potrei tornare a casa.

I due parlottano, e Daria stavolta rivolge il suo sguardo fiducioso a quell'uomo alto e magro, con pochi capelli bianchi, che adopera un tono suadente, e le promette anche che "dopo" le darà una caramella.

Una caramella. Il timore che tratteneva a stento d'improvviso si muta in angoscia, Daria smette subito di sorridere, e si irrigidisce, perché ricorda benissimo le parole che le hanno sempre detto mamma e papà: <<Attenta agli uomini che ti offrono le caramelle, potrebbero avere cattive intenzioni, non ti fidare, potrebbero farti una cosa brutta>>.

Le mani fredde di Suor Maria stanno slacciando i bottoncini del grembiulino a fiori, mentre i due ripetono con tono fermo:

<<Ora ti faremo una bella visitina>> e Daria spaventata pensa che forse è proprio quella la cosa brutta di cui parlavano mamma e papà, la visitina, e fa per voltarsi e scappare ma la mano fredda di Suor Maria le tira un ceffone sul viso, e mentre le guance sembra le stiano prendendo fuoco quell'uomo faticosamente indossa sopra le mani grinzose e piene di strane e grandi lentigini un paio di guanti di gomma, stretti e bianchi, poi senza dire una parola prende in mano una cosa di ferro che Daria non ha mai visto, con un gesto deciso le abbassa le mutandine, la fa sdraiare ed infine si china verso di le poggiandole addosso quella cosa, comincia a guardarle la patatina e intanto Suor Maria la tiene ferma.

Daria è immobilizzata dalla paura e dallo spavento, e si domanda sopratutto come possa accadere questa cosa brutta senza che mamma e papà intervengano a difenderla, vorrebbe piangere ma non le riesce, non le riesce null'altro che restarsene così, sgomenta, ferma e indifesa mentre quei due le fanno una cosa brutta. Questa è stata la visita ginecologica che Squitini e Suor Maria hanno fatto a Daria, cercando un abuso sessuale che non esisteva: hanno spogliato e visitato una minorenne, una bambina, senza l'assenso dei genitori esercenti la patria potestà e senza che nell'incarico peritale assegnato dal tribunale ci fosse alcuna disposizione in tal senso. Lo hanno fatto e basta, e quando finalmente ne sono venuto a conoscenza ho chiesto all'ordine degli psicologi di radiare Squitini, e alla procura della repubblica di procedere nei confronti di entrambi, quanto meno per violenza privata aggravata ed abuso d'ufficio da parte del consulente tecnico.

Ho un'amica che ha sofferto sulla pelle il dramma incancellabile di una violenza sessuale, e quando le ho raccontato della visita che hanno fatto a Daria mi ha detto che, durante lo stupro, aveva provato le stesse identiche sensazioni di quella povera bimba sfortunata.

La prova

Entriamo nell'androne del vecchio palazzo del centro storico, le pareti dall'intonaco scrostato, Jonathan mi fa strada lungo le scale strette su fino al primo piano, mentre io mi compiaccio di avergli affidato un mandato investigativo ai sensi della nuova legge. Batte due sole volte sull'uscio di legno grosso, la porta si apre. La donna è ben vestita, truccata, ci porge una mano curata, le unghie smaltate di rosso, ha una grossa collana di perle sul collo appena solcato dall'età, sarà anche lei sulla cinquantina. Prova ad abbozzare un sorriso che tento di ricambiare, mentre ci invita ad accomodarci nel salotto, si siede sulla poltrona, io e Jonathan sul divano, in mezzo un tavolo di cristallo con sopra vari ninnoli. Apre un portasigarette e ne prende una, la infila su un bocchino in avorio, poi la accende ed infine si scusa per essersi dimenticata, chiede se anche noi fumiamo.

<<Ho le mie>> rispondo, e fumo anche io. Jonathan non parla per niente, si limita a guardarla, così sono io a tentare di farle vincere il comprensibile imbarazzo: le chiedo se se la sente di ripetermi ciò che ha detto al mio investigatore, se posso accendere il piccolo registratore tascabile che nel frattempo ho estratto dal taschino, mentre il mio compare inizia a scrivere in stampatello su di un foglio uso bollo che, per comodità, appoggia sul tavolo di cristallo dopo avere spostato alcuni oggetti.

<<Dunque signora....>> inizio timidamente, perché questo è uno dei momenti più delicati nell'assunzione di un teste, si devono rispettare una serie di formalità e nello stesso tempo evitare che il soggetto cambi idea e si rifiuti di rilasciare una dichiarazione scritta <<....dunque io sono l'avvocato Manfredi Balestra....>> dico con tono il più possibile sereno, tenendo il registratore vicino alle labbra, mentre l'altro scrive velocemente. <<....lei è, mi corregga se sbaglio, D.F. C., nata a Barletta il xx/x/xxxx, ivi residente in via Nazareth, 51, e ci troviamo nel suo appartamento per sua libera ed espressa adesione al nostro invito>>. <<Si... ho accettato spontaneamente di rilasciarvi la presente dichiarazione...>>

<<Dunque signora, lei conosce la famiglia F.?>>

<<Quelli della bambina... sì li conosco>>

<<Conosce qualche particolare attinente la loro vicenda giudiziaria che possa essere utile per la Difesa?>>

Prende fiato, ha gli occhi lucidi ma si sforza.

<<Vede... quando quel signore tanto gentile mi ha detto il motivo della sua visita...>> e indica Jonathan <<...è stata come una liberazione per me. Mi sentivo orribilmente in colpa per quanto era successo, per certi versi me ne sentivo e me ne sento ancora in parte responsabile.... ma non avrei mai immaginato...>>

<<Vada con ordine, la prego>>

<<Ha ragione... andiamo con ordine>>

Stavolta mi sembra finalmente decisa, comincio a sentirmi meglio mentre lei riprende il racconto. <<Dunque, le dicevo che la Turchi, che poi è l'assistente sociale che ha fatto partire tutto con il suo rapporto al tribunale, abita in questo stesso palazzo. Oddio, non è che siamo amiche però ci si incontra per le scale o nei negozi qui intorno quando si fa la spesa... così un giorno, parlando del più e del meno, le ho detto di questa bambina dal carattere un po' chiusa, che stava nella prima elementare della scuola dove insegno. Al che lei ha cominciato a farmi tutto un discorso sul fatto che quando i bimbi sono taciturni hanno sicuramente subito un trauma e che per le statistiche il 90% degli abusi sui minori sono perpetrati da uno dei genitori, quasi sempre il padre e spesso con la complicità o nell'indifferenza della madre...>>

<<Mi scusi, ma lei le ha riferito di un motivo particolare che potesse giustificare un pensiero del genere?>>

<<No... assolutamente. Le ho solo detto che era una bimba difficile da punto di vista caratteriale, sperando che con la sua esperienza potesse darmi un consiglio... non avevo e non le ho riferito di motivi particolare, segni sul corpo, disegni strani o cose del genere... Era così tanto per parlare... poi credevo che gli assistenti sociali avessero.. non so... una laurea in psicologia o cose del genere, e invece...>>

<<Ma la Turchi cosa le ha detto su Daria, che consiglio le ha dato?>>

<<Nessuno consiglio... niente.... però alla fine si era talmente tanto interessata a questa bambina che mi ha chiesto di poterla vedere, di poter venire a scuola... io le ho detto che ci dovevo pensare... mi sono allontanata turbata, anche perché alla fine si era raccomandata di non far parola del nostro colloquio tra lei e la bimba, spiegandomi che in un certo qual modo gli assistenti sociali sono come dei pubblici ufficiali... lavorano presso le ASL....insomma danno, almeno sulla carta, determinate garanzie...>>

<<E lei non ha potuto impedire quel colloquio>> sottolineo.

<<No... però ho potuto assistervi ed è proprio per questo che mi rammarico di non avere preavvisato i genitori della bambina... quel colloquio è stata una cosa che mai avrei immaginato..>>

Accendo un'altra sigaretta e comincio a sentire quella rabbia sorda che mi si manifesta con un aumento repentino dei battiti cardiaci, e quel mal di testa che inizia a picchiare forte sulle tempie mentre mi si gonfiano le vene delle braccia e stringo i pugni come quando, a tredici anni, di fronte ad un'ingiustizia che non potevo tollerare, al campetto dell'oratorio, osavo sfidare il capobanda per dare sfogo a quel insopprimibile istinto di ribellione.

<<Come è stato quel colloquio?>> scandisco lentamente, e mi ridispongo all'autocontrollo.

La maestra riprende il suo racconto:

<<E' stata una cosa orribile, che stenterei a credere se non l'avessi vista e sentita in prima persona. Ha preso da una parte la bimba e poi così, nel corridoio, le ha domandato se aveva mai visto nudo suo padre, sua madre, se li aveva mai visti baciarsi, se quando faceva la pipì era suo padre che le puliva la patatina... e poi...poi....>>

<<Poi?>> le intimo io, e questa volta capisco che nella registrazione si avvertirà il tono alterato della mia voce.

<<Poi le ha domandato se avesse mai toccato le parti intime di suo padre o se lui l'avesse mai baciata sulla patatina... insomma una cosa orribile...>>

<<E la bambina cosa ha detto?>>

<<Era visibilmente sconvolta... ha cominciato a guardarmi spaventata ed io non sapevo cosa dirle... così ho cercato di interrompere quella che mi pareva, in estrema sostanza, null'altro che una violenza gratuita, e ho detto alla Turchi "la smetta... la prego... ma non vede che la bambina è sconvolta?"....>>

<<E la Turchi?>>

<<Quella è stata la fine, il passaggio risolutivo, al quale ho contribuito senza rendermene conto, perché è stato allora che la Turchi ha esclamato: "Esatto! E' sconvolta! Vuol dire che le mie domande le hanno fatto riaffiorare alla mente cose che non voleva ricordare..." ...ed io naturalmente le ho risposto che qualsiasi bambino di fronte a domande del genere sarebbe rimasto sconvolto... ma che modo di fare è questo?>>

<<Poi?>>

<<Poi basta. Se ne è andata via con la direttrice, non prima di avermi diffidato dal rivelare ad alcuno il colloquio di quella mattina... ma mi scusi avvocato... ma davvero è solo per quel colloquio che è accaduto tutto ciò che è accaduto... tutto quel male... quel dolore... quella vergogna...?>>

<<Temo di si>>

<<E come è possibile, ma il giudice li ha mai ascoltati i F. ... e la bambina... ci ha mai parlato il giudice con la bambina... e poi quella pazza dell'assistente sociale... ma è come dicono i giornali, davvero sono tutti così?>>

<<Signora, quel tipo di giudici non parla neanche con gli avvocati, sebbene la legge gliene imponga il dovere... figuriamoci se ascolta i bambini...>> sto per partire con una delle mie filippiche, ma fortunatamente basta un cenno di Jonathan per riportarmi alla realtà. Ho un verbale da completare, e da domani, spero, avrò finalmente qualcosa di decisivo per rivoltare l'intera situazione. Rileggiamo quanto Jonathan ha fedelmente trascritto, firmiamo e mezz'ora dopo usciamo visibilmente soddisfatti.

<<Vorrei mangiare del pesce>> propone Jonathan.

<<Ottima idea...>> rispondo <<... forse conosco un posto con vista su questo mare meraviglioso... anche se ci vorrà un pochino per arrivarci>>

<<Perché.. hai fretta per caso?>>

<<No...>> rispondo sorridendo come non facevo da tempo, e ci incamminiamo. Ho qui nella tasca, in duplice originale, la prova della montatura, la prova stessa dell'esistenza di un'associazione per delinquere che ha fatto del professionismo dell'antipedofilia un mestiere con cui arricchirsi sulla pelle di genitori e bambini innocenti: il teste ha parlato e ha firmato.

Non ho più fretta, dunque, finalmente posso godermi un bel piatto di pesce in questa terra meravigliosa.

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